A Destra della satira

“Guai a quei tempi in cui l’arte non rende malsicura la terra e davanti all’abisso che separa l’artista dall’uomo vengono le vertigini all’artista e non all’uomo!” (1) K. Kraus

Cesare Previti, classe 1934, avvocato e politico italiano che si trova allo stato odierno dei fatti in affidamento ai servizi sociali (2), attraverso il suo Studio Legale diffonde il seguente epitaffio: “La satira è quella cosa che assolve la funzione di mitizzare e umanizzare i personaggi famosi favorendo la diffusione di un clima di tolleranza che attenuerebbe le tensioni sociali” (3). Chi è il defunto?

Nel novembre del 1965 a Roma una compagnia di giornalisti e capi redattori di giornali che trovavano in slogan come “Dio, Patria e Famiglia” (4) un’ideale da far rivivere, partorirono l’idea di fondare un teatro di satira alternativa; lo chiamarono “Il Bagaglino” (5), compagnia di varietà.

Il teatro di varietà italiano, nato a Napoli alla fine del XIX secolo, è importazione nostrana del café-chantant francese, le cui origini sono assai più remote (6) e che vede compiere il proprio destino su suolo capitolino, attraverso la televisione di stato prima (in onda su Rai Uno dal ’73 al’94) e quella commerciale poi.

In una puntata di Marameo del 2003 in onda su Canale 5, la maschera di Gianfranco Fini in abiti cavallereschi recita: “Quel Bossi è diventato insopportabile!” La maschera di Silvio Berlusconi con tonaca pseudo cardinalizia (non porpora, troppo cupa, ma rossa, accesissimo) risponde: “Ti ha rotto le palle?” G. F.: “Si!” S. B.: “Due o quattro?” G. F.: “Sedici!” S. B.: “Fermiamoci lì, che 17 porta iella...” Il pubblico reagisce. Scoppia in risate e applausi. Sono quasi cinque secondi di applausi.
Durante lo stesso sketch con Berlusconi, interpretato da Oreste Lionello, sempre conciato da cardiale spalleggiato da un Pippo Franco in abiti sgargianti di Arlecchino, si alternano circa ogni due o tre minuti sul palco in duetti comici di identico stile e spessore, Umberto Bossi in marrone simil-moschettiero, Gerhard Schröder, vestito da signora tirolese con gonna in pizzo bianca e verde, grembiulino, maniche a sbuffo e voce urlante, Jacques Chirac, travestito da Napoleone, George Bush conciato da Zorro che imbastisce un duetto direttamente col conduttore Pippo Franco.
Pippo Franco chiede: “My President, da che cosa pensa si sia travestita Condoleezza?” e George Bush risponde: “Eh che ‘nne so? Spero non da vacca! Ah Ah Ah… ah ah…”. Arriva Condoleezza Rice vestita da mucca, manto bianco e chiazze nere, con le mammelle rosa ben in evidenza che dice: “Eccomi My President.” La platea rumoreggia divertita. Vengono inquadrate le prime file della platea tra cui si riconoscono facce note di politici e personaggi del mondo dello spettacolo, soubrette e giornalisti che visibilmente liftati applaudono, i più composti, con magnifici sorrisi, semi piegati dalle risate quando rumorosi. Stupefacente.

Non è nemmeno importante svelare qui le identità dei politici “veri” seduti in platea. Al Bagaglino ci vanno tutti. Una classe politica disposta ad ironizzare su se stessa. Così si vuole dimostrare.


Siffatta aristocrazia intellettuale italiana, seduta sulle poltroncine dove un tempo stavano seduti Ettore Pretolini e Tommaso Marinetti, non ride dei propri difetti e dei propri vizi. E’ talmente sfrontata da applaudire lo sberleffo che fa salire il proprio consenso. La sua autorità morale e politica si è spinta talmente tanto a fondo da essere arrivata al punto di potersi inventare un ruolo di contro-potere. Ma è sempre la stessa. Solo che ora ride del proprio popolo.

Il telespettatore infatti non osserva solo il palcoscenico dei replicanti ma accanto a questo si vede passare davanti al naso le inquadrature di una platea delirante che da una parte incrementa ed esalta l’atmosfera ridanciana dello spettacolo, dall’altra registra la presenza dei potenti che con volto disteso si mostrano generosamente disposti a respirare questa atmosfera. Di fronte a quest’ultimo aspetto il telespettatore reagisce con gratitudine e d’un soffio si ritrova sgravato del pensiero, alleggerito di una fatica che interrogherebbe sulla sua condizione quotidianamente e che ora si sospende perché non sa più riconoscere la differenza tra vizi e virtù, poiché i vizi dei potenti sono rappresentati come le virtù di un popolo.

Come riesce questa operazione? Con il linguaggio.

I testi passano dall’ordinario allo scabroso, dal comune al vernacolare. La lingua che circola in quel viale romano chiamato Due Macelli, è triviale e maleducata. 

Nella rinuncia alla cultura il popolo riconosce un gesto familiare, popolare, democratico. E’ il linguaggio con cui si sporcano i politici satireggiati sopra ad un palcoscenico che li rende delle persone affabili, “umani”.
Lo studio Previti sarà soddisfatto poiché lo spirito che vi era espresso nella sua teoria sulla satira, vive in ottima salute anche nella pratica, vestendo gli abiti dei poveri per mascherare i fasti dei ricchi. I potenti si sono umanizzati e il popolo, vedendoli dipinti così, li pensa simili.
Vi è in questi testi satirici un’articolazione linguistica e non solo, fatta di figure retoriche ma anche, come nel caso del Bagaglino, di colori esagerati, costumi, scenografie, inquadrature, luci e ombre, gestualità, mimica e stacchi pubblicitari, un’articolazione linguistica e non solo dicevamo, che sotto-intende un disegno, un progetto, un programma, una ragione illuminata.

Non sono da sottovalutare dunque tutti quegli indizi che emergono in superficie, si potrebbe dire, dalla superficie stessa.

Gli elementi che suscitano il riso, infatti, sono sì in parte soggettivi (questo è il riso come reazione emotiva ad una situazione di benessere) ma anche sociali e collettivi. Con quest’ultimo aspetto s’intende il riso come reazione di estraniamento verso una realtà esibita attraverso lo specchio del ridicolo, del grottesco e dell’incongruente.

Al Bagaglino, dietro ad un’apparente bontà di intenti che vorrebbe far dimenticare le ragioni sociali e collettive del riso in favore di una più ottimistica ragione genuina, si cela un’idea che,  anche se non originale, è sicuramente efficace.


C’è chi un tempo, come racconta Plutarco: “Fece abbattere gli steccati dei propri campi, perché fosse lecito agli stranieri e ai cittadini che lo desiderassero di cogliere liberamente i frutti di stagione. Ogni giorno faceva preparare nella sua casa un pranzo semplice ma sufficiente per molti commensali: ad esso potevano accedere tutti i poveri che lo volessero, i quali così, sfamandosi senza fatica potevano dedicare il loro tempo all’attività politica.” (7)

Questi era Cimone, generale e politico greco della prima metà del V secolo a.C. vicino alle aristocrazie di Atene, che per ingraziarsi e convincere il popolo della sua generosità condivideva il suo “capitale” con il demo (tale era un sistema politico diffuso e ben tollerato dalla società graca dal momento che i membri della società stessa ottenevano prestigio, ruoli politici ed indennizzi in maniera direttamente proporzionale allo sviluppo del capitale del singolo capitalista, che questo capitale lo condivideva con loro)

Se rileggessimo la precedente lettura in relazione al discorso che ci interessa suonerebbe pressappoco così: “Fece abbattere gli steccati del buon costume, perché fosse lecito a tutti i telespettatori che lo desiderassero di cogliere il peggio dell’avanspettacolo televisivo e di una satira deformata. Ogni giorno proponeva con generosità nella sua casa un cabaret semplice per molti telespettatori: ad esso potevano accedere tutte le fasce sociali che lo volessero, le quali, sfamandosi senza fatica, di sketch farseschi e canzonatori, potevano pensare al loro sovrano come ad un sovrano generoso ed illuminato, disposto a ridicolizzare anche se stesso e la sua attività politica.” Nulla di nuovo dunque. Siamo di fronte ad un inganno in cambio del quale tuttavia non otteniamo nulla.
La ragione e lo spirito di questa télé-chantant italiana è quella di sostituire ai fatti un’illusione, con la risata isterica di chi non sa di essere servo.

M. G.

1  Karl Kraus, Detti e Contraddetti, Adelphi Edizioni, Milano 2002, cit., p. 243.

2  http://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Previti (20 ottobre 2008 ore 14:57)

3  http://www.laprivatarepubblica.com/le-nostre-inquisizioni/quarto-potere/i-am-america-and-so-cant-you/ (20 ottobre 2008 ore 15:01)

4  Parliamo qui in particolare del settimanale “Il Borghese” fondato da Leo Longanesi (classe 1905), il cui primo numero uscì a Milano il 15 Marzo 1950. Dopo 43 anni cessò le pubblicazioni. Vi furono alcuni tentativi inefficaci di riproporlo da parte di giornalisti di generazioni successive a quella del fondatore del giornale milanese, come quelli di Marcello Veneziani Sinesi (classe 1955) e di Vittorio Feltri (classe 1943).

5  “Il Bagaglino” fu fondato da Pier Francesco Pingitore e Mario Castellacci, con la partecipazione di Luciano Cirri (redattore capo de “Il Borghese”) e alcuni giornalisti de “Lo Specchio” e del “Secolo d’Italia” oltre al musicista Dimitri Gribanovski.

6  Il fenomeno del café-chantant, che identificava prima il genere di spettacolo nel quale ad una rappresentazione teatrale si affiancavano canzonette, giochi di prestigio e balletti, poi il locale stesso dove venivano inscenate queste rappresentazioni, è rimasto un fenomeno confinato al boulevard du Temple e sotto le arcate del Palais-Royal a Parigi dalla sua nascita nel XVIII secolo fino alla metà del XIX secolo quando questo fenomeno iniziò a diffondersi in altre città e provincie.

7  AA. VV. L’uomo greco, a cura di Jean-Pierre Vernant, Editori Laterza, Bari, 2007, cit., p. 131.

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