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Cavalieri e motociclette Padri e figli. Cowboys senza Canada o Messico. Giubbi in pelle con frange e stivali borchiati. Baffo Inglese, baffo Walrus. Padri che insegnano ai figli cosa significa esser “uomo”? Cactus di plastica e Madonna. Wurstel e birra ovunque. Ancora semplici padri che scattano foto a semplici figli che montano complicatissimi mostri metallici dipinti di teschi e fiori con colori fluo. Sabbia e paglia. C’è posto anche per i disabili motociclisti. Approdato al 16 18 Bike Expo Show, tenuto alla Fiera di Padova come dopo un lungo viaggio per mare, con nausea e mal di testa, ho creduto inizialmente di assistere ad un tetro balletto di cliché vecchi almeno di cent’anni. Le ragazze dai capelli lunghi e dalle gonne corte che accarezzavano la carrozzeria di queste moto avrebbero potuto suggerirmi pensieri sulla “differenza”, sul femminismo, sui diritti delle donne. Così non è stato. Tuttavia. Non credo di esser diventato indifferente all’argomento, né tanto meno una cre
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Berlino da Ruttmann a Schadt: il Canto della Metropoli Immaginare un cinema diverso è forse possibile? Diverso da cosa? Un cinema che non tragga le proprie trame dal plot dei romanzi, che si sbarazzi di naturalismo, verismo ottocenteschi; che sia cinema d’arte senza ricalcare i drammi shakespeariani e che si lasci ispirare, non più dalla letteratura, bensì da altre discipline artistiche. Che amputazione dovrebbe sopportare il cinema se rinunciasse a ciò che la tradizione del novecento ha strutturato come nucleotidi del suo codice genetico? Abdicare dalla logica lineare e cronologica degli eventi che ne costituisce la tradizionale narrazione dei fatti, fino al punto di privarsi dei tanti abusati flashback che diventerebbero inconsistenti senza tale struttura; astenersi dal tratteggiare i propri personaggi intendendoli come maschere simboliche, voci di una dialettica scontata ma ancora così seducente che, con lambrosiano afflato, tende a cercare infinite corrispondenze tra  elementi
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Le temps qui reste Le temps qui reste (2005), secondo film della cosiddetta “trilogia del lutto” è un film che descrive gli ultimi attimi della vita di Romain, fotografo di moda trentenne, perfettamente incasellato nel cliché del giovane omosessuale in carriera, diviso tra una vita domestica fatta di cocaina e “vero amore” e gli impegni pubblici per la prestigiosa Vogue Paris. Tanto banali e melodrammatici i continui flashback che contrappongono alla sofferenza del presente l’idillio e la purezza del passato, quanto demoralizzante e sfibrante il finale che concede una serena morte al protagonista (alquanto improbabile) priva di sofferenza in una spiaggia deserta al tramontar del sole. Non si vuol certo imputare ad Ozon la mancanza di  un realismo che non gli è mai appartenuto, considerato da molti invece ingrediente necessario se si vuol parlare di cancro nel XXI secolo, a maggior ragione se lo si vuol fare in un film. Tuttavia ci viene un briciolo di nostalgia e un po' di
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A Destra della satira “Guai a quei tempi in cui l’arte non rende malsicura la terra e davanti all’abisso che separa l’artista dall’uomo vengono le vertigini all’artista e non all’uomo!” (1) K. Kraus Cesare Previti, classe 1934, avvocato e politico italiano che si trova allo stato odierno dei fatti in affidamento ai servizi sociali (2), attraverso il suo Studio Legale diffonde il seguente epitaffio: “La satira è quella cosa che assolve la funzione di mitizzare e umanizzare i personaggi famosi favorendo la diffusione di un clima di tolleranza che attenuerebbe le tensioni sociali” (3). Chi è il defunto? Nel novembre del 1965 a Roma una compagnia di giornalisti e capi redattori di giornali che trovavano in slogan come “Dio, Patria e Famiglia” (4) un’ideale da far rivivere, partorirono l’idea di fondare un teatro di satira alternativa; lo chiamarono “Il Bagaglino” (5), compagnia di varietà. Il teatro di varietà italiano, nato a Napoli alla fine del XIX secolo, è importazion
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Il Casanova, di Federico Fellini  - recensito alla luce di una candela bianca - "Una monaca che da due mesi vi vede ogni Domenica alla messa del Convento, desidera conoscervi. Vi aspetterà sulla riva dell’Isolotto di San Bartolo questa notte, senza domestico… e con una candela in mano.” Così Giacomo Casanova - in mezzo alle onde di un mare sintetico fatto di teli di plastica e con il brusio forte del vento altrettanto artificiale nel suo rumore volutamente snaturato - ci presenta il primo di una lunga serie d’incontri amorosi. E’ reggendo una candela bianca in mano che Casanova ci invita a conoscere questo suo modo di amare, un amor profano che è l’amor profano per eccellenza - talmente “profano” che si mischia e si confonde con il sacro perché coinvolge una monaca, simbolo di castità cristiana – e non è forse a caso che sia proprio una candela a gettare luce su quel foglio di carta; candela dal latino candere (candeggiare), che significa “bruciare fino al bianco” e
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Ibéria di Claude Debussy e l’Orientalismo in Europa Pare bizzarro utilizzare un termine come “orientalismo” - che generalmente indica un approccio e un interesse nei confronti di culture extra-europee - in riferimento ad un territorio come la penisola iberica che, senza alcun dubbio, costituisce parte fondamentale dell’Europa moderna. Per capire come l’orientalismo possa avere senso in questo contesto dobbiamo prima di tutto capire chi fossero e a che periodo storico appartenessero gli “occidentali” che osservavano il territorio spagnolo con lo stesso identico stupore di chi osserva qualcosa di esotico. Ecco cosa scrive James Parakilas a tal proposito:  It was the French who needed Spain to be exotic. They had long looked to their Latin neighbours, especially the Italians, for cultural leadership. (…) The exoticizing of Spain, in other words, was part of a larger process by which artists in northwest quadrant of Europe – especially French artists – turned the rest of the contin